95047.it “Muore ma non scompare chi ha eternato la propria essenza nell’arte”!
Il vecchio adagio che non ha mai mentito, per dirla con Giovanni Verga, ben si addice a D’Inessa, pittore, poeta, scrittore…l’artista bambino, un gigante dei colori, un patrimonio d’arte e di umanità, di cui Colui che lassù tutto può ci ha privato nove anni orsono, invitandolo a lasciare i suoi affetti ed ogni bene della terra per raggiungere la valle dell’Eternità!
È stato un triste giorno quel 6 settembre 2006!
Da allora mi porto dietro, in cuor mio, un cavalluccio di cartapesta, un palloncino, prigioniero del tempo, nell’altalena della vita. Immagino spesso di vederlo con la sua cartella colma di disegni, in bianco e nero, che raccontano il mondo verghiano de “I Malavoglia” davanti a Trezza nuova… “affollata ed assalita dai miti d’oggi, dove soltanto il mare brontola la solita storia mentre disegna tra la gente di mare – scriveva lo stesso D’Inessa – che rappezza ancora le reti e calafata le barche con le proprie mani come ai tempi della triste vicenda della barca “Provvidenza”, affondata con il suo carico di lupini, e la rovina abbattutasi sulla Casa del nespolo di Padron ‘Ntoni”.
Frugando tra le righe del taccuino dei ricordi, i miei sentimenti esplodono come lapilli dell’Etna; ripercorro gli anni di una lunga e profonda amicizia, le ore trascorse insieme nei vari incontri, portatori di un genuino bagaglio del sapere; nutrivo una grande ammirazione verso l’uomo poeta-artista che portava sempre con sé il taccuino di un pittore, pittore severo ma umile, altero ed estroverso ma semplice.
Un vero gigante dei colori! Un mito. Era solito esclamare: “Nulla dies sine linea” ed infatti non passava giorno senza che lui scrivesse appunti, note, considerazioni, schizzi; quel taccuino era un suo compagno di viaggio, lo specchio della sua anima.
Ci incontravamo spesso, soprattutto a Natale, sulla collina Normanna che tanto ci accomunava; apprezzavo quei suoi messaggi di pace rivolti ai giovani ed a tutti gli uomini di buona volontà in qualità di visitatore o presidente della commissione esaminatrice dei bozzetti natalizi, presentati dalle scuole locali alle diverse edizioni del premio “Il Natale in Sicilia”, organizzato, all’interno del castello Normanno o nell’ex convento di San Francesco alla collina, dal presidente degli artigiani paternesi, Barbaro Messina, maestro d’arte iscritto sui registri dei Beni Immateriali della Regione Siciliana.
Incalzanti ricordi mi conducono per mano lungo il cammino della nostra sincera e fraterna amicizia, come immagini dove spiccano i colori della vita e ancora eventi culturali, dibattiti, mostre d’arte, conferenze, momenti di vita validi e qualificati, rimaste impresse nella mente come pietre nere della lava del vulcano, incastrate ai margini della strada, segmenti di vita arricchita dalle sue opere, un vero inno alla fantasia ed ai sentimenti ben descritti nei suoi acquerelli; alcuni di essi hanno valorizzato le “copertine” di vari miei libri durante la cui stesura mi chiedeva ansiosamente notizie come fossero state anche sue creature in attesa di venire alla luce.
Indimenticabile la gioia vissuta durante una sua telefonata nel cuore della notte per informarmi che aveva appena ultimato un disegno che doveva essere inserito nel mio libro su “C’erano una volta a Paternò… i Bastonieri”; rappresentava un glorioso bastoniere paternese in lotta contro finti fantasmi nell’antica strada di San Marco a Paternò.
È solo un aneddoto, assai utile per descrivere bene e meglio la grande umanità di un artista che resterà sempre per me un faro di luce di grande cultura, rimasto un punto fermo a illuminare il mio cammino di vita, lungo la quale la cultura e la nostra amicizia ci hanno tenuto per mano nel girotondo degli anni.
Punto fermo era la ricorrenza della lettura delle sue poesie, divenute il canto della sua anima: “Carmina in horto”, recitate sotto il cielo stellato a Ragalna, tra gerani e secolari alberi di castagni, nell’abitazione etnea di uno dei suoi fratelli (Villa Finocchiaro-Cannavò).
Quanto era bello intrattenersi nello studio di casa sua a Sant’Agata Li Battiati, “dove l’arte aveva fatto casa”, così ero solito dirgli mentre mi illustrava le sue meravigliose tele o ascoltavo i suoi racconti inediti o mi dava consigli d’artista quale era maturo negli anni; un grande saggio con dentro l’anima assettata di conoscenza e di sapere, ricca di quei conflitti interiori che solo i veri artisti avvertono, esprimendoli nelle opere, capolavori d’arte per la collettività.
Si rimaneva sino a tarda sera certe volte a commentare il mondo dei cantastorie; nel 1996 pubblicò un articolo su Ciccio Busacca, paternese, uno dei più grandi cantastorie di Sicilia… un “titano dalla parlata sciolta e vivace, volto fortemente solcato, sfavillante; ineffabile cantore delle piazze d’Italia, che interessò anche il notissimo attore e regista Dario Fò (Prospettive 26 maggio 1996 – Il cantastorie, dal taccuino di un pittore).
Spesso ci si soffermava a parlare della seconda guerra mondiale, con la triste estate del’43, descritta nei suoi versi “Parole libere” – a dire del prof. Mimmo Chisari – … “non fortemente irrigidite in schemi metrici; parole che creano armonia nella dolce musicalità delle assonanze”…!
Mi descriveva i suoi carretti siciliani, sembrava quasi di vedere quel simbolo della Sicilia nel mondo, con quei colori che ricordono quelli del sole.
Era solito dialogare con i giovani che reputava…“coloro che sono all’alba della vita, linfa non contaminata dai guasti dell’uomo”.
È stato un artista il cui aspetto ispirava un profondo sentimento riverenziale; aveva un grande carisma con quella bianca corona dei suoi capelli ed il candore della sua barba ben curata; l’andatura lenta e solenne, con tanto garbo dei suoi gesti, ti spingevano a paragonarlo ad uomo in meditazione, quasi un asceta, ricco della saggezza di tutte le età.
Quando mi parlava della sua infanzia, riuscivo ad apprezzare le sue doti umane ancora di più, quasi fosse un mio familiare. Mi raccontava di essere stato il primo di undici figli (otto maschi e tre femmine) e che sua madre era solita narrare scherzosamente di averlo trovato nella “creta” mentre il padre, don Ciccio Finocchiaro, “Ciccitto” per gli amici, faceva mattoni ed il nonno Giuseppe li lavorava al tornio perché vasaio.
“Sin da bambino – ha scritto D’Inessa – ero attratto dai colori dell’argilla, il rosso screziato di bianco della terracotta, il giallo-verde-viola del laterizio stracotto, il grigio morbido e vellutato dell’argilla appena scaricato dal carretto che la trasportava dal vallone San Biagio”.
Ascoltavo a bocca aperta e con grande entusiasmo il racconto o alcuni aneddoti della sua vita, meravigliandomi quando si soffermava a descrivere la bottega del pittore dei carretti; si dimenticava persino di portare il burro a casa che gli si scioglieva tra le mani stante che erano passate ore intere da quando sua madre lo aveva mandato a fare la spesa in salumeria!
I rimproveri della madre non sortivano alcun effetto; spesso si appartava in un angolo per disegnare su un qualsiasi foglio di carta cavalli e scene di battaglia.
Mi diceva che il suo insegnante di disegno era stato il pittore Giuseppe Barone, un bravo ritrattista e versato nella figura sacra; dopo il diploma lo invitò a seguirlo nel suo studio d’arte e nelle chiese dove lavorava.
D’Inessa preferì formarsi in silenzio maturando la sua vocazione in un lungo, attento e severo periodo di formazione e di lavoro segreto, in quanto nessuno ebbe mai notizia della sua tanto ferma vocazione fino a quando non si rivelò nella sua prima mostra personale, nel 1963 alla Galleria “La Scaletta” di Catania con tredici acquerelli che destarono l’attenzione della critica e del pubblico.
Frequentò pure lo studio del pittore Salvatore Palumbo che aveva lavorato a Tunisi a contatto con artisti francesi, rimpatriato e profugo di guerra, vero maestro d’arte per tanti altri giovani pittori paternesi di allora.
Soggiornò anche a Napoli dove ebbe modo di visitare musei, gallerie e studi di pittori.
Da allora e negli anni successivi ebbe un vasto consenso dai critici d’arte e della cultura: “…la costante lirica e pittorica di D’Inessa diventa una continua ricerca d’animo” (Barbaro Conti).
Con “ i suoi cavallini di legno o di cartapesta, e con i suoi palloncini D’Inessa ci ha fatto conoscere un mondo estremamente disincantato…controllato con sicuro gusto ed animato da una elevata, struggente tensione lirica” (Lorenzo Misuraca).
… “I suoi disegni ci parlano di un pittore dotato di notevole capacità espressiva.
Disegni che in una prodigiosa altalena di luce ed ombre ci mostrano la figura con la sua anima, con la sua intelligenza, con la sua tristezza senza fine (Riccardo Campanella).
Quando si soffermava a parlare dell’Istituto per la Cultura e l’Arte di Catania, nel cui direttivo era segretario, mi raccontava della sua grande amicizia con Nunzio Sciavarrello, Presidente dell’Associazione; lo conoscevo anche io, con il quale nell’estate del 1991 rimasi a conversare, insieme a D’Inessa, espositore nella mostra “Artisti italiani e stranieri di oggi” (dal 10 al 23 agosto 1991) presso l’ex Convento Francescano di Trecastagni.
Quel pomeriggio il prof. Sciavarello ebbe frasi di elogio verso D’Inessa e la sua arte…“le cui bambole, i giocattoli, il venditore di palloncini, il cavallino di carta pesta, i mazzetti di fiori, il trenino, sono momenti del suo farsi bambino tra i bambini, quasi a scrutare in profondità quegli elementi essenziali dell’esistenza… Nelle sue opere – secondo Sciavarrello – compare spesso il bambino nascosto che ancora è in lui, che ricorda e riassapora il tempo della sua infanzia, di certo e triste rivive tutti i giorni come in un arcobaleno dall’alto del quale riesce a bearsi delle tanti semplici cose di cui molti, ormai, non riescono più a fare”.
Fu negli anni Sessanta che Giuseppe Finocchiaro, nato a Paternò (l’antica Inessa) il 5 gennaio 1922, decise di prendere lo pseudonimo di “D’Inessa”, ricco di numerose e differenti esperienze intellettuali, ivi compresa quella dell’insegnamento della scuola elementare.
Riprendeva, così, in mano i pennelli a lui consueti nella giovinezza, affinando la sua sensibilità pittorica con gli amici Nunzio Sciavarello, Carmelo Comes, Elio Romano, Francesco Ranno, Pippo Giuffrida, Rosario Frazzetto.
Quest’ultimo in seguito scriverà: … “la pittura di D’Inessa rivela dei punti di contatto con le immagini favolose proposte da Chagall, ma la matrice formale e stilistica dei quadri di D’Inessa deve considerarsi senz’altro autoctona e peculiarmente siciliana”.
Quando i giovani gli chiedevano qual era stata la molla che aveva animato la sua passione pittorica, quasi sempre rispondeva in modo laconico e riservato: “E’ stato sempre così!”.
Sulla sua riservatezza Paolo Ruberti scrisse: … “Peppino non si confida con molti: una specie di pudore lo trattiene, geloso – come credo di capire – della sua intimità”!
I suoi disegni, i suoi dipinti, i suoi acquerelli hanno partecipato in Italia e all’Estero, nel corso degli anni, a varie mostre personali e collettive.
Indimenticabile l’incontro con Renato Guttuso, che, con pochi segni di penna, come sanno fare solo gli artisti, tracciò su di un foglio il ritratto di D’Inessa che, nel 1970, rappresentò l’Italia- Sicilia al “Columbus day” di New York. Una sua opera fa parte della collezione “The Bertrand Russell Peace Foundation”, di Londra.
Settantuno opere del maestro D’Inessa arricchiranno, in seguito, il patrimonio culturale della città di Biancavilla dove sono rimaste in esposizione permanente presso il centro culturale polivalente “Villa delle Favare” della cittadina etnea, con atto di donazione del 10 maggio 2010 da parte della moglie Enzina Pannitteri Finocchiaro.
Molti paternesi custodiscono gelosamente tre litografie inserite in una carpetta dal titolo “Omaggio a Paternò” da lui create, pubblicate nel 1982 dalla Pro- Loco
di Paternò.
D’Inessa è stato un grande artista poliedrico; ha collaborato a riviste e giornali; è stato un artista di penna e pennelli, un grande educatore, un uomo di grande fede, un grande maestro di vita, espressioni di quei colori che, illustrati nei suoi disegni, hanno arricchito e valorizzato l’animo di ognuno di noi; un sognatore come il bambino di altri tempi, assorto a giocare col suo cavalluccio di legno o cartapesta, inseguendo palloncini colorati che salgono verso il cielo, tra l’azzurro dell’Eternità, dove risplendono i colori dell’iride policromi come il suo animo di artista.
Un giorno osservando la valle del Simeto, mentre eravamo sulla collina Normanna, annotava sul suo taccuino di pittore… “Ripercorro i sentieri della memoria, rivedo la torre mentre l’occhio spazia per la vallata. Che meraviglia! E’ un paesaggio tra i più belli del mondo in tutta la scala dei colori della gamma cromatica per ogni tipo di coltura, con la gente che lavora e produce, verdi tappeti come tessere musive, all’infinito”.
Il suo è un inno alla propria terra natia, dove purtroppo non ebbe mai la gioia di allestire una mostra personale al castello Normanno o alla Galleria d’Arte contemporanea. Chissà poi perché!? A Paternò ben si addice l’espressione latina “Nemo propheta in patria”. Così è avvenuto per D’Inessa e tanti altri uomini illustri, ivi compreso G.B. Nicolosi!
D’Inessa, vero gigante dell’arte, è stato un pò misconosciuto nella sua città verso ai cui amministratori lanciava silenziosi messaggi; sembravano degli strali verso i cui fantasmi della cultura, i “polifemi” della politica; in verità erano solo dei rivoli di lava che non facevano male a nessuno perché andavano a cadere nella vasta distesa naturale della valle del Bove!
Mi chiedeva spesso, nel suo studio di Biancavilla, dove si era trasferito nel 2004 insieme con la moglie Enzina, sua fedele musa ispiratrice, perché mai avevo scritto poco su di lui, pur conoscendoci da una vita, cioè da quando frequentavo la scuola elementare con Vittorio, uno dei suoi fratelli o con Barbaro con il quale negli anni eravamo soliti salutarci reciprocamente “Ciao, fratello”…viceversa col maestro D’Inessa usavo un saluto riverenziale: “Sebbenedica, zio Peppino”!
Per moltissimi anni continuò a chiedermi di dargli del tu…ma alla fine ci rinunziò!
Nel suo studio di Biancavilla mi trovavo in un museo d’arte, di cultura; tutto parlava di vera arte, i libri, attestati, quadri di altri pittori paternesi, tele senza cornici, statue, il suo ritratto di Guttuso; tante sue poesie dattiloscritte “silenziose icone di sicilianità” ed ancora pezzi unici in pietra lavica di Barbaro Messina, profili femminili, il regno di un pittore che trae linfa vitale dal suo cuore, uno scrittore, un bambino sognatore nella vita e nell’arte!
Una domenica di una calda estate di agosto di nove anni addietro, in compagnia di suo fratello Barbaro, dietro tacito assenso della moglie Enzina, andai a trovare D’Inessa. Era stanco, a letto e molto silenzioso.
More solito, un po’ emozionato, gli sussurrai: “Sebbenedica, maestro”!
Mi rispose con un sorriso, un tenero sguardo fraterno e giulivo nello stesso tempo.
Non potevamo stancarlo, per cui uscimmo subito dalla sua camera.
Improvvisamente nel salutarci mi colpì un suo messaggio… “Pippo, non mollare”!
L’ultimo suo messaggio che non più l’artista bambino mi ha dato ma l’uomo Ulisse che nella sua vita ha sempre lottato per la cultura e l’arte della nostra terra natia.
Quel pomeriggio vennero giù le lacrime nel corridoio di casa D’Inessa.
Uscendo da casa di zio Peppino, ci recammo per reazione nella chiesa Madre di Biancavilla, nella cui antica sacrestia era aperta al pubblico la mostra personale d’arte sacra “Luce divina, 2006” con i suoi acquerelli, tutti ispirati al culto di Maria SS. dell’Elemosina.
Quanta fede in quella mostra d’arte sacra!
Alcuni giorni dopo, era il 6 settembre 2006, D’Inessa lasciava per sempre il suo taccuino di un pittore per recarsi in Paradiso dove esporre, nella galleria dei Santi, i ritratti di tutti i giusti del mondo!
Forse con un po’ d’imbarazzo e timidezza avrà di certo, nel suo nono anniversario di ascesa in cielo, esposto il suo autoritratto mentre il palloncino colorato volerà più in alto delle nuvole… mentre il cavalluccio resterà sempre dietro i passi di un sognatore, un gigante dei meravigliosi colori del mondo!
Ancora adesso al mio fanciullino nulla impedisce di esclamare: “Sebbenedica Maestro D’Inessa”! …
… “Muore ma non scompare chi ha eternato la propria essenza nell’arte”!