La DIA di Catania ha eseguito un decreto di sequestro emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Catania, su proposta del Direttore della DIA, Generale Giuseppe Governale, nei confronti degli eredi di Vincenzo Guglielmino, deceduto nel dicembre 2018, imprenditore già attivo nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Il provvedimento trae origine da indagini patrimoniali condotte dal Centro Operativo DIA di Catania, finalizzate alla localizzazione di capitali illeciti, che hanno permesso di accertare la sproporzione tra i redditi dichiarati e l’imponente patrimonio nella disponibilità del Guglielmino, fittiziamente trasferito ai suoi familiari molto prima del suo decesso, proprio per eludere la possibilità di applicazione delle misure di prevenzione a suo carico.
Il valore del sequestro, che colpisce la E.F. Servizi Ecologici Srl e la G.V. Servizi Ambientali Srl, numerose unità immobiliari, un opificio, terreni, autoveicoli, rapporti bancari e finanziari, è stato prudenzialmente stimato in 20 milioni di euro.
Il Guglielmino, nel 2017, era stato arrestato nell’ambito dell’operazione “Piazza Pulita”, poiché accusato di tentata estorsione e danneggiamento aggravati dal metodo mafioso, commessi nei confronti della Roma Costruzioni S.r.l., società che gestiva il servizio di raccolta rifiuti a Noto (SR).
L’anno dopo venne nuovamente arrestato dalla DIA di Catania nell’ambito dell’operazione “Gorgoni”, per associazione mafiosa, concorso in corruzione e in turbativa d’asta, nonché intestazione fittizia di beni.
Da entrambe le attività investigative era emerso chiaramente il suo marcato profilo criminale, confermato anche dall’A.G. procedente che lo riteneva il “volto imprenditoriale” del clan Cappello, sottolineando altresì le camaleontiche capacità della mafia di servirsi di affidabili ed insospettabili imprenditori per il raggiungimento dei propri obiettivi illeciti.
Il Guglielmino, infatti, era riuscito a costruire il suo impero economico grazie alla fattiva collaborazione con il clan Cappello, da cui riceveva “protezione” e affidamento di importanti appalti pubblici, a fronte di sostentamento economico.
Il rapporto era ormai divenuto così stretto che l’imprenditore, conoscitore delle gerarchie interne e dei meccanismi di funzionamento del clan, si rivolgeva al boss Salvatore Massimiliano Salvo addirittura criticandolo per la sua inclinazione ad accerchiarsi di affiliati di scarso valore e rimpiangendo i precedenti boss Giovanni Colombrita, Rosario Litteri, Sebastiano Lo Giudice e Orazio Privitera.