La Cappella di San Giovanni: “tesoro nascosto” del Castello di Paternò

95047.it Il Castello di Paternò, dopo alcuni anni di chiusura, è stato finalmente riaperto al pubblico. Oltre che per i pochi turisti e forestieri che per scelta, caso o avventura verranno nella nostra città a vederlo, questa nuova apertura offre la possibilità di una visita a tanti paternesi che non lo conoscono bene, o addirittura non lo hanno mai visto. E’ una occasione specialmente per le nuove generazioni le quali, purtroppo, conoscono meglio i centri commerciali del circondario che i monumenti e la storia della città in cui vivono. Il Castello normanno, edificio simbolo della città, costituisce da sempre un punto di riferimento geografico, assieme all’Etna un immaginario quinto punto cardinale; con la sua grande mole cubica di basalto nero esso sta a dominio della città ormai da mille anni. Tuttavia, pur avendolo sempre sulle nostre teste non lo conosciamo bene, specialmente nei suoi interni; le ampie sale, le stanze, le fughe di gradini e i “sotterranei” non godono certo la stessa notorietà dei quattro scabri ed imponenti prospetti esterni. E nel girovagare al suo interno il visitatore meno attento, magari attratto dal magnifico panorama che vi si gode dalle numerose finestre, rischia di trascurare ambienti e particolari architettonici e artistici di un certo rilievo.

San Giovanni, foto Giordano (Clicca per ingrandire)
San Giovanni, foto Giordano (Clicca per ingrandire)

E’ il caso della Cappella di San Giovani, importante espressione dell’arte figurativa del nostro medioevo e fonte di ammirazione e godimento per gli studiosi e per gli spiriti più sensibili. Essa si trova al primo livello del Castello, e vi si accede scendendo dei gradini dopo avere attraversato un piccolo portale in pietra ad arco ogivale sormontato da un bassorilievo raffigurante l’Agnus Dei: un chiaro simbolo di San Giovanni Battista a cui questo ambiente sacro fu dedicato. Essa ha dimensioni abbastanza ridotte, misura infatti 6 metri x 4 circa, culmina in un’abside e conserva buona parte di un magnifico ciclo pittorico. Fino al 1990, anno in cui la Cappella subì un importante intervento di restauro, vi erano anche dei sedili in pietra bianca posti ai lati della sala, essi però furono inspiegabilmente rimossi. Il ciclo pittorico in origine si divideva in tre ordini: quello superiore, con stemmi araldici a scudo normanno realizzati nel XIV secolo; il mediano, con la raffigurazione di Santi; e l’inferiore, di cui non rimane più traccia. La volta ad arco in origine era dipinta d’azzurro, e rimangono superstiti delle stelle a sei e sette punte che presentano tracce dell’originaria doratura. Con molta probabilità la Cappella fu realizzata nel XIII secolo, ovvero in epoca sveva, anche se i dipinti risalgono al periodo a cavallo tra il Due e Trecento, come si può dedurre dallo stile e come indicano diversi studi fatti da studiosi e storici dell’arte. Va precisato che questi dipinti non sono degli affreschi, come di solito si legge, ma pitture a tempera stese a secco, ovvero sull’intonaco già asciutto.

Scorcio della Cappella, foto Giordano (Clicca per ingrandire)
Scorcio della Cappella, foto Giordano (Clicca per ingrandire)

Per comprendere meglio il significato di questo luogo è importante tenere conto della forte sacralità che esso rivestiva, una sacralità manifestata attraverso una rappresentazione nel contempo militare e religiosa. E la presenza dei cosiddetti ‘ Santi cavalieri’ qui dipinti, ci spinge innanzitutto ad approfondimenti d’ordine storico piuttosto che artistici. I dipinti furono realizzati quando ancora non si era spento il fervore per le Crociate in Terra Santa. Ne sono prova la presenza di Santi quali Nicola di Mira (o di Bari), simbolo della lotta contro i saraceni; San Sebastiano, protettore dei militari contro la peste che tanto atterriva i i musulmani; San Michele arcangelo, il Santo-soldato per antonomasia a difesa di Dio. Basta ciò ad attestare che questa Cappella non era solo un luogo di preghiera, ma anche di assemblea per cavalieri e soldati che per secoli hanno vissuto intorno al Castello, per la difesa della stessa fortezza, della città e del territorio circostante in epoche in cui difendere un territorio e la fede cristiana era la stessa cosa. Anche l’Agnus Dei posto sulla chiave di volta del portale d’ingresso, simbolo di San Giovanni Battista, nonché la presenza dello stesso personaggio effigiato a sinistra dell’abside, sono elementi che lasciano intendere l’attività militare nel Castello di Paternò di un preciso Ordine cavalleresco, quello degli Ospedalieri di San Giovanni in Gerusalemme, ovvero i Gerosolimitani, lo stesso che successivamente prenderà la denominazione di Cavalieri di Rodi e, nel 1530, di Cavalieri di Malta.

San Nicola, foto Giordano (Clicca per ingrandire)
San Nicola, foto Giordano (Clicca per ingrandire)

Adesso analizziamo da vicino il ciclo pittorico. Punto focale di tutto l’ambiente – all’interno dell’abside – è un troneggiante Cristo Pantocratore nel gesto solenne di benedire; questa figura è fortemente danneggiata, ma le tracce rimaste sono abbastanza eloquenti per consentirne un esame stilistico. Si tratta di una tipica iconografia bizantina, così come se ne trovano in tutta l’area del Mediterraneo e nella stessa Sicilia. Cristo tiene nella mano sinistra il Vangelo aperto, indossa un manto azzurro, e la testa con una fluente capigliatura è circondata da un nimbo dorato. In alto, come una cornice alla stessa abside, quattordici tondi contengono Serafini e Cherubini, e sopra la stessa cornice quattro tondi più grandi contengono il bue, l’aquila, l’angelo e il leone, rispettivamente simboli degli evangelisti Luca, Giovanni, Matteo e Marco, e al loro centro un tondo racchiude, ancora una volta, l’Agnus Dei. Di fronte l’abside (nella controfacciata sopra la porta d’accesso) si ammira l’Arcangelo Michele inquadrato da una cornice a “bastoni”, le sue grandi ali sono semi spiegate e indossa l’emathion, un drappo simbolo del divino. A sinistra del registro superiore troviamo raffigurata la Vergine Maria seduta in trono su cuscini mentre rivolge lo sguardo all’Arcangelo Gabriele annunziante, presente nel registro opposto. Come accennato prima, a sinistra dell’abside ecco San Giovanni Battista. Qui, il “difensore del Santo Sepolcro” è raffigurato rispettando gli stilemi del tempo: la sua figura è asciutta, quasi scarna, capelli e barba rossa sono incolti a segno di penitenza; la sua vita ascetica è simboleggiata dal torso nudo e dalla veste di pelle di cammello. Il suo volto è scavato dai duri digiuni anche se la sua espressione è fortemente ieratica. Egli con la mano sinistra regge un cartiglio che annuncia l’Avvento del Messia, mentre con la destra benedice l’osservatore. Dopo lo stesso Cristo, il Battista è la figura più importante di questa sala, il Precursore è infatti l’ultimo profeta che precede la venuta di di Gesù, egli fa da legame tra il Vecchio e il Nuovo Testamento.

Continuando, nel registro inferiore della parete frontale, troviamo San Nicola. Padre della Chiesa orientale e vescovo di Mira, il Santo è raffigurato frontalmente in una tipica posizione del periodo aureo bizantino. La sua fronte è larga, i lunghi capelli e la barba ne denotano la sua appartenenza alla Chiesa d’Oriente, indossa la doppia stola (epitrachelio) e regge il Vangelo con la mano sinistra. Questa figura emana una forte sacralità: la posa rigida e ieratica, lo sguardo severo, la figura solida, il gesto benedicente, i ricchi paramenti sacri e la testa circondata dal nimbo, dovevano certamente indurre i fedeli del medioevo ad un mistico rispetto. Girando lo sguardo sulle altre pareti della Cappella troviamo i Santi Martiri Militari e Cavalieri che, sui muri settentrionale, occidentale e meridionale, si dispiegano come in una parata religiosa. Una processione militare in realtà, che ha come destinazione il luogo ideale della difesa della Fede cristiana e la liberazione di Gerusalemme dagli infedeli. Nella parete ovest spiccano San Sebastiano e San Nestore, a sud San Michele e San Demetrio, a nord San Giorgio e Sant’Ippolito. Siamo di fronte alle figure meglio conservate dell’intero ciclo pittorico, anche se sulla esatta identificazione di questi santi non tutti gli studiosi sono concordi.

Ecco una teoria di Santi-Cavalieri, che su vivaci cavalli arabo-normanni sembrano volere uscire dalle pareti per compiere ancora una volta la loro missione. Le figure, coi volti dai tratti realistici e potenti seppur stilizzati, sono di grande suggestione: i Santi Giorgio e Michele uccidono il drago, Sant’Ippolito e San Nestore reggono degli stendardi svolazzanti mentre sono in corsa; tutti sono elegantemente vestiti e avvolti in ampi mantelli militari, e hanno il loro comune punto d’osservazione nel Cristo Pantocratore dell’abside. I colori a tempera offrono una gamma cromatica alquanto vivace: l’azzurro e il rosso, il giallo e il nero, l’ocra e il bianco, un fantasmagorico ed essenziale cromatismo che alleggerisce ulteriormente la tematica dell’Opera. Sulla Cappella di San Giovanni del Castello sono stati fatti degli studi ma non del tutto esaustivi. Questi dipinti per rarità e bellezza costituiscono una delle massime espressioni dell’arte medievale del nostro territorio, un patrimonio artistico e culturale che ci appartiene e che andrebbe maggiormente conosciuto e valorizzato.

2 Comments

  1. Come sempre una sintesi giornalistica completa ed eleganta. Lettura facile anche per coloro che non masticano arte. Ritrovamento di buona caratura artistica e culturale per Paternò. Complimenti Prof. Giordano Francesco, Ad Maiora.

  2. Interessante ed esaustivo. Paternò è città piena di tesori nascosti non tutelati né promossi. Che gran peccato.

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