Sperimentata per la prima volta una tecnica di ricostruzione delle esplosioni vulcaniche in 3D. A svilupparla, un gruppo di ricercatori del Laboratorio Alte Pressioni Alte Temperature di Geofisica e Vulcanologia sperimentali (HPHT) dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), grazie all’impiego di due telecamere ad alta velocità e ad alta risoluzione in modo sincronizzato. I risultati, pubblicati su Geophisycs, Geochemistry, Geosystems e su Journal of Geophysical Research, rappresentano un nuovo stimolo per migliorare le tecniche di monitoraggio applicate ai fenomeni esplosivi in aree attive ai fini della valutazione della pericolosità vulcanica.
“Il laboratorio HPHT”, afferma Piergiorgio Scarlato, responsabile della struttura, “è leader nello sviluppo di nuove metodologie applicate all’osservazione dell’attività vulcanica a carattere esplosivo, attraverso l’impiego di telecamere ad alta velocità e ad alta risoluzione. La collaborazione pluriennale con il Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS), l’Università di Hawaii e l’Università di Monaco di Baviera ha permesso di sviluppare e applicare queste nuove tecniche sull’Etna, Stromboli e su altri vulcani del mondo (Hawaii, Vanuatu, Indonesia), con il risultato di proporre un nuovo schema generale per classificare l’attività esplosiva a carattere stromboliano”.
Con l’occasione è stata anche sperimentata, per la prima volta, una tecnica di ricostruzione delle esplosioni vulcaniche in 3D, utilizzando, nella ripresa delle eruzioni stesse, due telecamere ad alta velocità in modo sincronizzato.
“La recente attività esplosiva al vulcano Etna”, spiega Scarlato, “ha messo nuovamente in evidenza l’importanza di approfondire gli studi su questi fenomeni e di sviluppare tecniche osservative che consentano di raccogliere ogni informazione utile per la ricerca e il monitoraggio in questo ambito”. I sistemi di processamento al computer adottati, hanno permesso di analizzare ogni singolo pixel contenuto nelle migliaia di immagini raccolte, associando le riprese effettuate da due telecamere poste in due punti diversi di osservazione, fino a ottenere una ricostruzione tridimensionale degli eventi esplosivi filmati.
“Ciò ha permesso per la prima volta di determinare con precisione le traiettorie seguite dai prodotti emessi, la loro velocità e altri parametri aerodinamici fondamentali per modellare i processi eruttivi e l’area di dispersione dei prodotti attorno al cratere di emissione”, prosegue Scarlato.
La sperimentazione sui vulcani di queste nuove tecnologie ha richiesto diversi anni di sviluppo e di test portando a significativi risultati scientifici nel campo della Vulcanologia.
“Le informazioni raccolte aiutano a comprendere fenomeni eruttivi come quelli osservati all’Etna e Stromboli. In particolare, installando questi strumenti con particolari accorgimenti tecnici, è ora possibile misurare con precisione parametri eruttivi come la velocità di emissione dei prodotti piroclastici, il flusso di massa e le caratteristiche di dispersione dei prodotti nell’area circostante il cratere”, conclude Scarlato.