95047.it “Il saio sepolto” è il titolo suggestivo del primo romanzo della scrittrice paternese Maria Rosaria Angellotti. Insegnante con una formazione umanistico-letteraria, l’autrice dopo alcune esitazioni ha pubblicato il suo libro quasi in sordina nel 2012 per i tipi della 0111 Edizioni. Adesso comincia ad avere la giusta attenzione di pubblico e critica per un testo complesso nella trama, ricco nella scrittura ma di facile lettura, avvincente nella narrazione e dai contenuti per certi aspetti attuali.
Con questo libro è alla sua prima pubblicazione. Da dove è nata l’idea di scrivere un romanzo, e nello specifico un romanzo storico ambientato nella Germania del XII secolo, un genere ormai in auge da alcuni anni e che richiede una certa conoscenza storica unita ad abilità per la costruzione strutturale del testo e della stessa trama delle vicende narrate?
Devo precisare che avevo già scritto una storia di circa mille pagine, una favola ambientata sempre nel Medioevo, un primo lavoro che non mi ha soddisfatta e che non ho voluto mai pubblicare. Quando ho cominciato a scrivere Il saio sepolto non mi sono posta lo scopo di fare un romanzo storico, ma una storia ambientata nel medioevo tedesco, poiché sono appassionata del periodo medievale e adoro la cultura nordica, dalla sua mentalità alla mitologia. Quindi ho scritto qualcosa che, per molti versi, faceva parte della mia sensibilità e spiritualità, una storia che ho sentito mia per quello specifico periodo storico, per ambientazione e contenuti, restando ferma la mia passione per testi quali La Chancon de Roland, il Ciclo Bretone con le storie di Re Artù o La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso; un retroterra culturale personale che affonda le sue basi in questo genere letterario. Il Medioevo è stata un’epoca che mi ha sempre affascinato per la sua complessità e per le forti passioni umane; nei suoi primi secoli esso vide l’incontro tra la cultura classica del mondo antico e quella dei popoli barbari che si affacciavano al mondo civile coi loro carichi di mitologie sconosciute. Le due culture, seppure così diverse, trovarono una straordinaria e mirabile sintesi nel Cristianesimo.
Quindi questa formazione personale l’ha portata a scrivere ‘Il saio sepolto’?
Sì, anche se questo romanzo è nato in modo strano, dato che inizialmente la storia che volevo scrivere era diversa da quella che ho pubblicato. Dapprima avevo pensato ad una protagonista femminile, una donna reincarnata, quindi un soggetto abbastanza sui generis, successivamente dato che mi serviva un personaggio antagonista lo individuai in un prete e quindi in un monaco, e proprio il monaco Fortunio è diventato il protagonista del romanzo.
Il fascino per il Medioevo diventa anche un pretesto per arrivare a scrivere un romanzo che è anche un giallo?
E’ così, anche se stranamente non amo i gialli, ma la risposta a questi apparenti paradossi sta nel fatto che sono stati i personaggi del romanzo a “dirmi” cosa scrivere. Nei momenti in cui non sapevo come andare avanti nella stesura del testo, mi succedeva di sognare gli stessi personaggi che mi suggerivano fatti e soluzioni, compresa la conclusione del libro, è chiaro che il mio inconscio mi veniva in aiuto facendomi vivere i fatti in chiave onirica.
Possiamo dunque affermare che la stesura di questo romanzo si sia mossa su due livelli, uno razionale e l’altro istintivo?
Inizialmente ho agito quasi istintivamente con la stesura di getto, dopodiché attraverso le revisioni ho dovuto razionalizzare quanto scritto, ordinare il tutto in una struttura logico-narrativa con un inizio, uno sviluppo e una conclusione. Ma voglio fare una precisazione, spesso si pensa e si dice che ogni scrittore scrive per i lettori, io non ho scritto per gli altri o per avere successo, ho scritto principalmente per me stessa, non in senso egoistico ma per una esigenza intima e psicologica, spirituale direi.
Attraverso questa scrittura “di getto” sono emersi sentimenti personali che possiamo ritrovare, proiettati inconsciamente, nei contenuti della narrazione?
Sono sentimenti affidati principalmente ai personaggi principali del romanzo, innanzitutto al monaco Fortunio, il protagonista che è anche un prototipo dell’uomo moderno. Egli è un disadattato che cerca disperatamente la sua strada, tanto che in un passaggio del libro egli stesso lo afferma quando si rende conto che l’intelligenza è solo zavorra, mentre le cose che contano per sopravvivere in mezzo alla società sono la forza, l’arrivismo, le conoscenze influenti, il dove e il come si nasce. Vi è anche la denuncia di un ineluttabile chiusura in caste che, secondo me, riflette molto l’anacronistica chiusura in caste dell’Italia di questo periodo.
Quindi, con le dovute differenze, il protagonista del romanzo è paradigmatico dell’uomo contemporaneo.
Esatto. L’intelligenza di un individuo, le sue qualità, oggi come nel Medioevo o in altre epoche storiche, non possono emergere ed essere ben indirizzate se non c’è qualcuno che ti aiuta a valorizzarle.
Nelle prime intenzioni il personaggio protagonista di questo romanzo avrebbe dovute essere una donna. Ma cosa c’è di femminile in questa storia?
Di femminile vi è la regia dei fatti narrati, perché sono le donne a muovere le fila delle vicende. Spicca il personaggio della contessa Adelaide, una donna molto forte alla quale ho affidato le mie idee sulla donna, e mi spiego meglio. Ogni volta che sento parlare di femminicidio o di donne che accusano gli uomini, penso che si generalizzi poiché si tratta innanzitutto di individui e non di generi. Non sopporto le categorizzazioni in generi: vecchi, giovani, omosessuali, eterosessuali, esse sono generalizzazioni che rischiano di annullare l’individualità. Inoltre, per quanto riguarda gli uomini, soprattutto in Italia credo che, nel bene e nel male, sono fatti così come vogliono le donne. Difatti sono le donne che allevano ed educano i bambini, quindi un uomo non nasce buono o cattivo, sensibile o insensibile, ma è il risultato di un certo modo di pensare ed educare voluto e dovuto proprio alle donne.
Una domanda che potrebbe essere impropria: c’è qualcosa di siciliano nelle vicende narrate?
E’ una domanda che mi è stata rivolta molte volte, la risposta è no, se non l’anima normanna, quindi nordica, dato che i il periodo storico in cui ho ambientato il mio romanzo coincide con la presenza dei Normanni in Sicilia. Una storia come la mia, un giallo in un contesto “oscuro” non poteva essere ambientata in Italia o in Sicilia, all’epoca molto più sviluppate della Germania, dove la temperie culturale e il contesto geografico fanno venire subito in mente vivacità e luce.
Ha in preparazione un nuovo libro?
Sì, un romanzo che parla della mattanza di Carlo Magno sui Sassoni, e forse potrei riprendere il personaggio della donna reincarnata.