Akropolis, “Il parco della memoria”

95047.it Il nome di un luogo, può determinare la sua natura, la sua antica vocazione, la sua storia. Non ricordo che la “collina” di Paternò abbia avuto altre denominazioni se non qualche volta “rocca”. Mi pare utile rilevare che questi due termini si accompagnano rispettivamente a “storica” e “normanna”; determinando il carattere di testimonianza di civiltà con i suoi monumenti e frammenti di città. Entrambi i termini evidenziano il carattere, prevalentemente naturalistico di questo spazio straordinario. Le declinazioni “storica e normanna” appartengono all’immaginario collettivo, suggerendo scenari storici legati al passaggio dei normanni in una città che ha accolto, nella sua storia millenaria, molti altri popoli.

Non è possibile determinare chi per primo ha avuto l’ardire di chiamarla acropoli, ne importa. Gli anni della mia formazione sono stati accompagnati dalla lettura dei saggi storici di Salvo Di Matteo e dagli schizzi di Franco Scandura che prefiguravano templi dove oggi esistono chiese. E se non bastasse, le innumerevoli conversazioni con Laura Maniscalco, Salvo Fallica e gli storici locali, mi hanno convinto che il nome di questo spazio è “acropoli”. Questa declinazione ci porta a considerare l’aspetto urbano prevalente, rispetto a quello naturalistico che pur presente ha condizionato la sua percezione.

Le recenti scoperte, frutto degli scavi svolti dalla Sovrintendenza e dal lavoro di ricerca nel complesso di San Francesco, hanno riportato alla luce l’urbanità del sito. (canalette idriche, porzioni di tessuto urbano, ecc. ecc.) Da una visione apparentemente occasionale delle rovine monumentali si passa a un modello urbano identificabile e stratificato (fino all’insediamento greco-romano e ancora più indietro nel tempo come già presentato in precedenza). Questa forse è la grande novità che ci permette di promuovere a pieno titolo il nome di acropoli per identificare quest’unità paesaggistica di grande valore culturale e su cui si può innestare l’idea di sviluppo locale.

Sono maturi i tempi per realizzare un progetto di valorizzazione e sviluppo, che affonda le sue radici nel tempo. Negli anni ’60 e ’70 le sollecitazioni di Nino Lombardo; a seguire le associazioni culturali come Archeoclub, Siciliantica, Batarnù, Aria Nuova, Pro-loco e le testate giornalistiche e televisive locali – tutti – hanno contribuito a costruire le basi per parlare oggi di “parco dell’acropoli” di Paternò. Non bastano poche righe per citare tutti quelli che a vario titolo e in tempi diversi hanno creduto e lavorato a tutto ciò, non me ne voglia nessuno se in questa sede non sono citati tutti ma non posso esimermi dal ricordare: Angelino Cunsolo, Barbaro e Carmine Rapisarda, Francesco Giordano, Nino Tomasello, Pippo Virgillito, Mimmo Chisari, Carmelo e Alfio Ciccia, Barbaro Conti e Vincenzo Fallica (chissà quanti ancora se pensiamo anche ai tanti fotografi impegnati da tempo come Giuseppe Barbagiovanni, Franco Uccellatore, Salvo Santangelo, Roberto Fichera, Alessandro Finocchiaro ecc.).

Questo è il tempo dell’agire nel rispetto di chi ha costruito la memoria. C’è ancora da lavorare nella ricerca e negli studi e questi nuovi scenari impongono strategie investigative innovative. Alcune questioni di metodo, rispetto all’idea di parco, sono necessarie da offrire al dibattito e la costituzione di un gruppo di ricerca indipendente è fondamentale per fare un balzo avanti.
La prima mi pare quella della definizione del perimetro. Circoscritto solo sulla sommità dell’acropoli o esteso in tutte le aree archeologiche? Quale le modalità per la sua determinazione?
La seconda concerne il rapporto tra il parco e la città. Parco come riserva-recinto o come estensione dello spazio urbano? Questo impone una visione complessiva sulla mobilità, sull’accessibilità, sulle connessioni, sull’indotto e sugli usi compatibili. (che la tesi di laurea di Giuseppe Mirenda ha approfondito)
La terza questione riguarda il governo del parco e la sua sostanza. In pratica lo strumento di piano e di definizione del “giacimento archeologico” che a oggi è inespresso e per questo mi pare prioritario avviare scavi sistematici che tengano conto dei modelli urbani prefigurati in precedenza. (in questo senso alcune riflessioni sul modello urbano della città ellenistica, già dimostrate in altre sedi, possono costituire una basa di partenza per programmare gli scavi con la Sovrintendenza e l’Università

Gli articoli due, tre e quindici del bando del concorso d’idee “rocca normanna” e il “book, raccolta di documenti” pubblicato nel 2000, definiscono chiaramente i potenziali obiettivi e la lettura integrale dello stesso (il cui testo è visionabile presso la biblioteca comunale) permetterebbe di individuare un percorso progettuale ancora possibile. I risultati dello stesso concorso, pur evidenziando un ottimo livello di lettura e interpretazione dell’acropoli, hanno disatteso parzialmente le richieste del bando che miravano proprio alla soluzione delle questioni di cui sopra, non definendo scenari percorribili sul piano pratico ma offrendo innumerevoli sollecitazioni emozionali.
Credo che sia necessario, così come voleva il bando negli articoli finali, trasformare quelle sollecitazioni e le successive – come la proposta di pre-fattibilità del piano strategico del 2007 commissionato dall’Assessore all’Ambiente di Paternò (ing. Gaetano Laudani) e la proposta di parco letterario “Pervigilium Veneris” da parte della parrocchia Santa Maria dell’alto (il tutto promosso alcuni anni fa da Padre Salvatore Alì) – che negli anni si sono sedimentate, in una nuova proposta di progetto urbano organico che colga le opportunità della finanza europea.

E proprio questo è il punto. L’istituzione del parco, non può prescindere dall’elaborazione propedeutica di un progetto legato alla revisione del piano regolatore generale e che con esso sia organico e lo stesso, non può essere la semplice sommatoria di singoli progetti – trovati negli archivi – trasformati in piano. L’intervento di recupero del convento di San Francesco – promosso dall’ex assessore Salvo Torrisi, mirava proprio a iniziare questo processo, dotando il comune di un incubatore culturale. (purtroppo siamo ancora in attesa dei fondi per il completamento da parte della regione Sicilia)

Mi pare ovvio, che la costituzione di un comitato tecnico scientifico autorevole, che costruisca l’armatura di piano e di gestione dell’ eventuale parco, sia necessaria e propedeutica alla costituzione dello stesso. Si tratta di costruire la sostanza, a partire dalla conoscenza, sfruttando le risorse culturali e tecnologiche.

Non credo sia utile individuare nuove aree di sottogoverno – almeno per adesso – ma costruire un ragionamento che, partendo dalle questioni prima espresse, proponga una strategia. Non si tratta di imbavagliare una nuova porzione di territorio impedendo e basta. Non si tratta di rinunciare alla sua trasformazione impedendo l’uso dell’architettura contemporanea perché quando nulla si può fare, nulla si sa fare. (Toledo, Ragusa, Siracusa, Venezia, Berlino, Sagunto, Brescia, Burgos, ecc), non si tratta di guardare l’oggetto ma il paesaggio, non si tratta di solo cultura ma di eco-economia, non si tratta di affari ma di democrazia, non si tratta di rigidezza ma di flessibilità. Si tratta di territorio fatto di città, fiume, campagne e giacimenti culturali. Si tratta di convergenza e condivisione dei saperi e degli interessi. Per rompere i recinti del silenzio.

Per quanto sopra si propone di costituire un gruppo di ricerca mettendo in rete il patrimonio di associazioni già attive in questo ambito, per studiare, sostenere e sviluppare nuove ricerche sul paesaggio culturale che meglio rappresenta la città di Paternò e valorizzare le innumerevoli tesi di laurea, progetti e studi già disponibili. L’idea di officina 21 è proprio questa e l’invito agli studiosi di cui sopra mira a costruire questa piattaforma comune a cui hanno già aderito alcuni autorevoli protagonisti della ricerca locale.

[Credits photo: Alessandro Finocchiaro]

4 Comments

  1. Voglio proprio sperare che quanto descritto nell’articolo, antico film già visto e rivisto, non sia il Libro dei Sogni per abbindolare qualche sprovveduto elettore alle prossime amministrative ormai imminenti o una maldestra macchinetta cerca voti, buona per tutte le stagioni predispossta da qualche ex politico zombi avvistato nei pressi della Biblioteca Comunale.

    1. Gentile “minicu”, occupandomi ormai da molti anni di questi temi, mi preoccupano poco le questioni che lei pone. La città alta o se vuole la collina o l’acropoli ha bisogna di attenzioni programmatiche e strategiche. Poi se qualcuno dedica il suo tempo a questo luogo io lo apprezzo. In questa sede se vuole può esprimere la sua idea e dare un contributo.

  2. Per come ricordo fra i partecipanti al concorso per idee “Roccanormanna” ci fu anche chi propose scenari percorribili sul piano pratico, ma se a questi furono preferite le sollecitazioni emozionali la responsabilità non fu dei partecipanti ma delle scelte della commissione giudicatrice. PS. Io preferisco chiamarla Città Alta, secondo la definizione che veniva data già a partire dal ‘600, quando si andava consolidando lo sviluppo della Città bassa extramoenia.

    1. Sono passati 16 anni da quel concorso, sono cambiati molti scenari culturali, qualcosa di quel concorso è stato realizzato e la commissione ha fatto le sue scelte. Non posso entrare nel merito ma ricordo benissimo gli eventi e i giudizi espressi in quella sede (ero il segretario). Città alta, i piace.

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